Le calamità naturali generano sempre nella pubblica opinione una sorta di pietismo immediato.
Le notizie, le immagini, le storie - tragiche o a lieto fine - hanno su di noi un effetto dirompente, che ci porta ad “agire” in qualche maniera.
E’ successo molte volte: lo tsunami, le alluvioni, i terremoti. Un’offerta, una donazione, una sottoscrizione. Sul posto di lavoro, al supermercato, in televisione, tra conoscenti; è tutto un fiorire di conti correnti, da sottoscrivere pro...
Le immagini e le parole che si sono riversate su di noi in questi giorni post-terremoto sono state una fiumana in cui molti dei nostri politici in questo dramma collettivo ha cercato il suo spazio di visibilità. Ho detto dramma perché tale è: trecento morti, centinaia di feriti, di cui alcuni molto gravi, il 30% di case distrutte, il 20% di case danneggiate, tra cui edifici pubblici anche di recente costruzione; monumenti e chiese non hanno subito miglior sorte, con grave danno al patrimonio artistico nazionale.
Questi a grandi linee sono i numeri di una situazione drammatica, che si dipana giornalmente sulla pelle di quanti hanno salva la vita ma hanno perso tutto, anche gli affetti, e che oggi si trovano ad abitare in tendopoli, esposti alla pioggia ed al freddo con lo sguardo perso e pieno di interrogativi su ciò che sarà il domani.
Un domani che è stato disegnato a grandi linee e non senza polemiche dal governo. Come, dove e quando ricostruire, come evitare infiltrazioni mafiose e camorristiche nella ricostruzione, viste le cifre stimate che ammonterebbero a circa 12 mld di euro, si creerebbe lo stesso effetto di un branco di squali intorno alla preda da azzannare. D’altronde non è che noi italiani abbiamo una buona reputazione in materia di ricostruzioni post-terremoto. Basta pensare al Belice ed all’Irpinia; sperpero senza fondo di denaro pubblico che ancora oggi, a distanza di molti anni, viene richiesto dalle amministrazioni locali per “concludere” e “portare a termine” le opere incompiute. Come detto, ci sono in ballo molti miliardi di euro, speriamo che gli amministratori abruzzesi insieme alla magistratura sappiano vigilare.
Mano a mano che i riflettori vanno spegnendosi (i Tg non aprono più i loro notiziari con i luoghi del terremoto, e sui giornali conquistano a malapena un articolo di spalla nelle pagine interne) i protagonisti di questo dramma si ritrovano soli a dover affrontare i problemi quotidiani; la ricerca continua e disperata di un ritorno ad una parvenza di normalità.
Ritrovare il proprio lavoro, il negozio, l’attività che non c’è più. La scuola, il mercato, la piazza con le panchine, le vecchie care abitudini. Oggi tutto è surrogato: c’è la tenda per gli incontri, la tenda per la scuola, la tenda per i giochi dei bambini, la tenda per l’ospedale, la tenda per la chiesa; si fanno le file per la doccia calda, le file per la mensa...
Certo è bello vedere quanti a cominciare dai vigili del fuoco, la protezione civile ed associazioni varie, con abnegazione si affaticano per alleviare il peso di questo dramma; sicuramente ogni abruzzese, ogni italiano ne avrà preso atto.
Ma la voglia di normalità, quella brucia in ogni cuore coinvolto, traspare su ogni volto.
Mentre scrivo mi viene alla mente un passo della Bibbia, nella seconda Lettera di San Paolo ai Corinti, due versi che vorrei dedicare a tutti gli aquilani ed a coloro che hanno sofferto in questo tempo.
2Corinti 4:8-9 “Noi siamo afflitti in ogni maniera, ma non ridotti agli estremi; perplessi, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; abbattuti, ma non distrutti.”
Concludo prendendo a prestito le parole del profeta Isaia: “Ognuno aiuti il suo compagno e dica al proprio fratello: coraggio!”
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