La schiavitù è un problema più reale e concreto di quanto ci si possa immaginare:
Al primo posto c’è la prostituzione, un’industria dello sfruttamento che produce un giro d’affari che arriva a 73 milioni di euro ogni anno, fatta di ragazze sradicate dalla loro terra natale con la promessa di una vita da ballerine, attrici, fotomodelle.
Ma il mondo della schiavitù non si limita a questo:
Laboratori artigianali dove uomini, donne e bambini subiscono orari di lavoro massacranti per pochi soldi e con condizioni igieniche insopportabili; cantieri senza nessuna regola se non quella dello sfruttamento; lavori domestici che impiegano migliaia di donne senza orario e senza parola alla mercè dei padroni; piccoli accattoni, costretti a mendicare per una manciata di spiccioli; bambini obbligati a lasciare la scuola per un futuro già scritto fatto di miseria e paura.
Gli schiavi del Duemila sono in queste categorie. Categorie che spesso non vediamo. Che non ci sfiorano.
In India per esempio, circa quindici milioni di bambini vengono ogni anno comprati dalle famiglie che sono in difficoltà economiche. Hanno un’età superiore ai cinque anni e lavorano (almeno l’85%) nell’agricoltura, nell’industria delle sigarette, della seta, del pellame e dei tappeti. Altri sono impiegati negli alberghi, nei servizi. Tanti anzi, troppi, finiscono sul marciapiede.
In Brasile ci sono i gattos (gatti), reclutatori della manodopera infantile. Si presentano con i camion vuoti nei villaggi quando il raccolto va male, offrendosi di aiutare le famiglie più disagiate e cariche di debiti. Offrono un lavoro nella foresta e pronti a qualsiasi raggiro e a qualsiasi violenza, comprano lavoratori a bassissimo prezzo.
In Cina le nuove aree industriali hanno creato condizioni più dure per il lavoro; secondo le stime sono 144 milioni i migranti cinesi che attraversano il Paese in cerca di fortuna e di un’occupazione andando incontro a condizioni disumane, ad impieghi dove sono permesse punizioni e percosse, ad orari di lavoro che arrivano a sedici ore giornaliere.
In Arabia Saudita e negli emirati del Golfo la situazione è tragica. Gli immigrati non possono entrare senza l’aiuto di un garante, il kafil, che si trasforma in un vero e proprio padrone senza scrupoli con il diritto d’impiegare l’immigrato, affittarlo o passarlo ad un altro kafil.
Sudan, Mauritania e altri stati islamici sono accusati dal Research Institute for Social Development, una struttura delle Nazioni Unite, di continuare a praticare la schiavitù a danno delle altre popolazioni africane.
"La gente pensa che la schiavitù sia finita – aveva dichiarato non molto tempo fa Kevin Bales, tra i massimi studiosi mondiali del fenomeno – invece non è mai stata così diffusa. Le stime parlano di ventisette milioni di schiavi in tutto il mondo.
Secondo il rapporto della Cia sarebbero cinquantamila le persone ridotte in queste condizioni che ogni anno entrano negli Stati Uniti. Gli schiavi in Europa sono almeno duecentomila e l’Italia è al primo posto di questa triste classifica".
Uno spaccato inquietante su un dramma quotidiano che ormai non approda nemmeno più sulle pagine più importanti dei giornali.
E la Chiesa? Che ruolo ha intorno a tutto questo?
Gesù parlando di sé stesso dice in Luca 4:18 Lo Spirito del Signore è sopra di me, perché egli mi ha unto per ...proclamare la liberazione ai prigionieri ...per rimettere in libertà gli oppressi.
Gesù non parlava certo di quelli che erano in catene reali, ma del legame del peccato che è di gran lunga più opprimente e sottile degli oltraggi letti finora.
Se i dati riportati sopra sono inquietanti ed hanno in qualche modo toccato la sensibilità umana, quanto di più le migliaia di persone che non conoscono ancora Dio e sono sotto il dominatore di questo mondo dovrebbero allarmarci e far indignare il nostro spirito portandoci ad agire come Chiesa matura e conquistatrice nella missione che Gesù ha affidato alla Chiesa nel Grande Mandato (Matteo 28:18-20).
Gli schiavi veri non sono quelli in catene di ferro che attirano la nostra attenzione perché ci mettono di fronte alla concreta evidenza dei fatti; i “veri schiavi” sono intorno a noi tutti i giorni: sul posto di lavoro, a scuola, tra i vicini di casa, per la strada...
E’ una schiavitù peggiore perché i diretti interessati non sono neanche consapevoli delle catene che li circondano: catene di peccato che li rendono soggiogati ai sistemi di questo mondo, schiavi degli standard che la società impone, schiavi di quella che nel loro vocabolario è chiamata “libertà” ma che libertà non è.
Ma insieme all'Apostolo Paolo vogliamo dire: Dov’è lo Spirito del Signore vi è libertà (2Corinti 3:17) e in nessun altro posto!
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