Altri invece li schernivano e dicevano: "Sono ripieni di vin dolce!" (Atti 2:13)
Recentemente sono stato invitato ad un interessante convegno tenutosi all’Università della “Sapienza” di Roma sul tema Global Methodism: Bridging the North and the South of the World. Nel convegno si è trattato dell’origine del Metodismo, lo sviluppo, le missioni ma non solo: l’incontro è stato caratterizzato dall’analisi e commento del cosiddetto neo-pentecostalismo, un “fenomeno” questo in grande espansione.
Diciamo subito che per noi pentecostali il termine “pentecostalismo” suona come accezione negativa, sarebbe opportuno parlare di pentecostalesimo, ma al di là di questo, ho trovato davvero singolare che all’interno di un dibattito sul Metodismo venissero menzionati i pentecostali e in particolare i movimenti neo-pentecostali. I relatori sul fenomeno neo-pentecostale sono stati il sociologo Enzo Pace, professore di sociologia delle religioni dell’Università di Padova, il quale insieme ad Annalisa Butticci, ricercatrice presso il dipartimento di sociologia di Padova, sono autori del libro Le religioni pentecostali, e il professore Pino Schirripa, antropologo e ricercatore presso l’Università della Sapienza. Il professore Schirripa ha curato un testo di recente pubblicazione dal titolo, Terapie religiose. Neoliberismo, cura, cittadinanza nel pentecostalismo contemporaneo.
Ora i resoconti, le analisi, le storie, lo sviluppo dei movimenti neo-pentecostali descritti dai due professori e i vari “fenomeni” legati ad essi, hanno cominciato a suscitare tra le diverse persone presenti al convegno sempre più interesse, tant’è vero che il dibattito sul Metodismo ha rischiato di passare in secondo ordine. Io e mia moglie, invitati come sociologi e unici pentecostali presenti in quel convegno, abbiamo ascoltato le relazioni dei due professori con un certo imbarazzo, dato che la descrizione del “fenomeno” neo-pentecostale, veniva poi generalizzata all’intero universo Pentecostale. In sostanza il nostro imbarazzo era dovuto a diverse stonature presenti nelle analisi dei due ricercatori. Stonature dovute non tanto ai resoconti e alle pratiche religiose registrate tra i neo-pentecostali ma legate al tentativo di spiegare, attraverso le categorie antropologiche e sociologiche, un fenomeno che è di portata spirituale e Scritturale. Fenomeno che avrebbe bisogno di essere chiarito attraverso categorie teologiche come fece, tanto per citare un esempio, l’apostolo Pietro il giorno della pentecoste, quando accusarono i discepoli di essere ubriachi perché li udivano parlare “in altre lingue” (Atti 2:14-18).
Ma quali aspetti hanno evidenziato in sostanza le due relazioni?
La prima, quella del professor Enzo Pace, sociologo, ha trattato un profilo del neo-pentecostalesimo come di un fenomeno in aperta sfida al pentecostalesimo classico. La comunità si presenta come una comunità di seguaci adunati e affascinati dal potere del leader carismatico. I doni dello Spirito, successivamente distribuiti ai membri, sono per il successo in campo spirituale ed economico. Molte delle chiese neo-pentecostali, diventano “Chiesa-impresa-carismatica". La guarigione dell’anima e del corpo, così come il riuscire nella vita diventano gli ingredienti efficaci che fanno lievitare l’adesione alle nuove chiese. Viene offerta una ritualità sul terreno della performance dello straordinario: più miracoli, più guarigioni, più profezie, più esorcismi, più spazio al tempo liturgico. I credenti sono al tempo stesso consumatori e fruitori dei beni di salvezza(1). Questo in sintesi.
Mentre la relazione del professor Schirripa, antropologo, analizzando il neo-pentecostalesimo in Ghana, è partito dal nesso salute e salvezza, guarigione e religione, in quanto la relazione religione e terapia risultano spesso fortemente legati. Tale nesso viene affrontato nella prospettiva pentecostale. Secondo l’autore il tema della guarigione rimane presente in maniera onnipervasiva in queste chiese, cosi come la lotta con il diavolo. La guarigione rappresenta quindi non solo la liberazione dal male, ma la sanzione della bontà di Dio che ha inizio con la conversione. Ma in modo particolare, con l’affermarsi dei movimenti neo-pentecostali, vi è anche il richiamo al vangelo della prosperità. L’esibizione della ricchezza è un segno che avvicina i nuovi adepti. Vi è un benessere, quindi, innanzitutto di natura intramondana oltre che ultramondana. Secondo l’autore tutta la riflessione sociale del mondo pentecostale avviene dentro l’idioma religioso. […] Il linguaggio pentecostale è un agire-sul-mondo, una modalità non solo di vedere e interpretare la realtà, ma anche di intervenire su di essa […].(2)
Dopo queste due relazioni si è avuto un tempo per domande e interventi. È lì che ho chiesto di poter esprimere un parere sia come pastore pentecostale, sia come sociologo. Il mio intervento non era teso a screditare i fatti riportati sui neo-pentecostali dai due ricercatori, in quanto entrambi hanno colto le diverse esasperazioni, prassi e modi di vivere ed esplicitare l’esperienza pentecostale, spesso esagerata sia nella forma che nella pratica dai neo-pentecostali. Una spiritualità spesso carente dal punto di vista teologico. Il punto è che queste modalità di espressione della spiritualità pentecostale sono dovute o legate essenzialmente alla cultura dei contesti analizzati, come ad esempio quello africano. Quindi ho potuto spiegare che il pastore non è un leader carismatico o peggio uno sciamano. Che la chiesa non è un impresa carismatica. Che la malattia non sempre è vissuta come una possessione. I carismi dello Spirito Santo non sono per il successo personale. E che il battesimo nello Spirito Santo non è un fenomeno spiritualistico-mistico-magico, né tantomeno un’isteria collettiva.
Soprattutto sul piano sociologico ho voluto sottolineare il metodo di ricerca, in particolare per quanto riguarda i fenomeni spirituali. Ho ricordato ai due ricercatori che sono state analizzate le funzioni manifeste e non quelle latenti (sono termini tecnici che riguardano il metodo di ricerca sociale, essi hanno a che fare con i comportamenti palesi e le motivazioni nascoste che spingono gli individui ad agire e reagire a specifiche esperienze). Ora sono proprio quelle funzioni latenti, che riguardano cioè le motivazioni di carattere spirituale, che sono alla base del fenomeno e che sono state trascurate nelle relazioni. Non si può mettere sullo stesso piano la spiritualità pentecostale con la magia, l’isterismo con l’adorazione.
Credo di aver suscitato nei partecipanti e soprattutto nei due ricercatori uno spunto di riflessione. Rimane tuttavia l’esigenza e la necessità di spiegare la nostra spiritualità pentecostale, soprattutto nei circoli accademici. Essa può essere meglio chiarita attraverso le categorie teologiche e scritturali, le sole in grado di spiegare le ragioni più profonde (funzioni latenti), che sono alla base del fenomeno, come la rivelazione di Dio nella vita delle persone attraverso Cristo e per mezzo della sua Parola. Esso è un avvenimento spirituale (termine caro a Barth), un’esperienza autentica di vero cambiamento e trasformazione. Una “scoperta”(3) di Dio da parte dell’uomo. È questo aspetto che va analizzato e approfondito e non solo le manifestazioni e reazioni esteriori. In questo caso […] il lavoro teologico dovrà essere prima di tutto un’analisi rigorosamente empirica di tali esperienze, studiate sotto il profilo sia dell’antropologia che della storia della religione […](4).
05 aprile 2013
Sandro Gianneramo
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(1) E Pace A. Butticci 2010 pp.23,24 – Le religioni Pentecostali, Carocci Editore Roma
(2) P. Schirripa (a cura di) 2012 p. 28 - Terapie religiose – Edizione CISU Roma
(3) P. Berger 1995 p.115 – Il brusio degli angeli – Edizioni il Mulino Bologna
(4) ibidem
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